Oggi inauguriamo una nuova piccola rubrica settimanale che vedrà la luce ogni martedì mattina alle 9 qui sul mio blog. Una rubrica fastidiosa, che tenta di risvegliare da vari torpori intellettuali, da brutti autismi culturali e da imbambolamenti cerebrali… a suon di sberle. Metaforicamente, s’intende.
Buona lettura!
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La filosofia, presa di per sé, non serve davvero a nulla.
Essa è infatti un modo di parlare e di pensare, niente di più. Pretendere che essa serva a qualcosa, presa così com’è, nuda e cruda, sarebbe come pretendere che parlare il gergo della curva dello stadio servisse di per sé a qualcosa. Ma non è così. Il linguaggio, gli atteggiamenti, il gergo del tifoso da stadio non ha, nella realtà, alcuna utilità diretta. Permette semplicemente di riconoscersi, di produrre un senso di appartenenza, di darsi una parvenza di identità. E per riconoscersi, produrre senso di appartenenza, darsi una partenza di identità, non ci vuole davvero niente. Basta imitare, e anche l’ultimo degli allocchi imita con caparbietà.
Ecco, la filosofia fa esattamente questo. In fin dei conti, siamo onesti, chi non riconoscerebbe lontano un miglio quell’atteggiamento tipico di colui che parla la “lingua” della filosofia, colui che “pensa” da filosofo? Perché di questo si tratta, niente di più. Leggendo i grandi classici della filosofia è indubitabile che stiamo avendo a che fare con una prospettiva discorsiva, una serie di apparati linguistici e cognitivi culturalmente delineati, e anche usando questi paroloni io non sto facendo altro se non delineare la mia appartenenza… sì, insomma, avete capito. Anche l’ultimo degli allocchi sa imitare un filosofo.
La “Critica della Ragion Pura” non è altro che il tentativo, da parte di un uomo chiamato Immanuel Kant, di affrontare problemi assolutamente quotidiani che hanno senza alcun dubbio sfiorato la mente di qualsiasi essere umano dotato di un barlume di raziocinio. Ciò che differenzia la “Critica della Ragion Pura” dalla chiacchiera al bar o dalla scommessa al Totocalcio è l’atteggiamento mentale, il linguaggio utilizzato, l’appartenenza a una prospettiva riconoscibile. Insomma, il filosofo e il venditore di pere affrontano gli stessi problemi nella vita: come non morire da scemi, come sbarcare il lunario, come essere minimamente felici e come evitare di fare figure di merda. Poco altro. Solo che lo fanno usando apparati cognitivi, linguistici e sociali molto diversi.
Conoscere in tutto e per tutto le pere, per il suddetto venditore, non servirà per ciò a niente di niente, fintantoché costui non deciderà di intraprendere un percorso che gli permetta di utilizzare quelle conoscenze per convincere il maggior numero di persone possibile a comprare le sue maledette pere e non quelle del venditore in fondo alla strada, sperando che le conoscenze di quello là siano meno accattivanti, approfondite e concrete rispetto alle sue.
Allo stesso modo, conoscere in tutto e per tutto i problemi di etica o metafisica, aver glossato anche le ultime virgole di Hegel e Platone, esser riuscito a comprendere almeno al 15% quel labirintico marasma mentale che è la Grammatologia di Derrida, non servirà mai a nulla al filosofo, fintantoché non si metterà in testa di doverci mettere del proprio, di dover applicare quanto imparato ai problemi della vita, alle questioni che attanagliano ogni uomo o donna presente sul pianeta, vivo, morto o non ancora nato (che poi significa morto, solo che è una cosa meno definitiva). Perché un filosofo diventa tale quando la sua “Critica della Ragion Pura” diventa materiale utile agli altri, essendo stato utile in primo luogo a lui stesso. Un filosofo diventa tale quando i suoi pensieri e le sue idee vengono usati da altri esseri umani per progredire in quel cosmico caos chiamato “vita”. Un filosofo diventa tale quando qualcuno usa (ma va benissimo scrivere anche “compra”) i suoi pensieri, in qualunque forma siano stati esposti.
Altrimenti, il filosofo che glossa Platone e Sant’Agostino, ma non viene ascoltato da nessuno e deve sbarcare il lunario non con la filosofia, ma lavando i piatti al ristorante sotto casa, non è un filosofo. Potrebbe essere un genio, questo non lo nega nessuno, ma non è un filosofo. E, nel caso fosse un geniale filosofo incompreso, beh, suo malgrado lo diventerà solo per i posteri, quando il numero di piatti lavati avrà senza dubbio superato immensamente quello delle idee esposte.
E questo, signori miei, sarà anche una sberla, ma è uno spreco immenso.